Onorevoli Colleghi! - Molto tempo è ormai trascorso da quando la legge 20 febbraio 1958, n. 75, cosiddetta «legge Merlin», decretò la chiusura delle «case di tolleranza», un atto di grandissimo rilievo che ha inciso profondamente sul costume e sulla mentalità degli italiani.
Tuttavia, allo sfruttamento all'interno delle «case chiuse» si è sostituito lo sfruttamento, altrettanto inammissibile e ben più insidioso, della malavita organizzata nella gestione del business della prostituzione. Migliaia di donne, spinte dalle condizioni di indigenza sopportate nei loro Paesi d'origine o desiderose di trovare in occidente una collocazione umana, sociale e lavorativa migliore o, più in generale, di realizzare le proprie aspirazioni di libertà, si affidano, loro malgrado, a organizzazioni criminali in grado di gestire le catene migratorie e di orientare attraverso il governo dei flussi i destini individuali di ognuna di esse, collocandole nel mercato sommerso del sesso. Ricattabili per la loro condizione di clandestinità, esse sono di fatto prive di diritti e di tutela e le uniche forme di solidarietà attiva nei loro confronti sono spesso quelle messe in campo dalle organizzazioni di volontariato e dalle équipe di operatori sociali. Con la presente proposta di legge si intende restituire ai soggetti che esercitano la prostituzione, donne, uomini e transessuali, lo status di cittadine e cittadini, assicurando loro l'uguaglianza ed il rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti e disciplinando una materia che ha subìto, nel tempo, profonde e sostanziali modificazioni. Chi si prostituisce è, dal 1958, di fatto, senza identità e garanzia alcuna, preda della più totale deregulation legislativa e delle più disparate interpretazioni soggettive della
il modello svedese che, con l'obiettivo di tutelare la dignità e la salvaguardia del corpo femminile dalla violenza esercitata dal maschio attraverso il denaro, introduce la punizione del cliente, attribuendo così allo Stato la funzione etico-pedagogica di sanzionare un comportamento sessuale. Tale dottrina rovescia il presupposto storico del proibizionismo, che ha sempre sanzionato il comportamento della prostituta in quanto comportamento sessuale femminile fuori del matrimonio, ma non elude una malcelata vocazione criminalizzatrice, tesa comunque a individuare un reo in base a un metro di giudizio di tipo morale;
il modello olandese, teso a regolamentare giuridicamente ed economicamente l'esercizio della prostituzione attraverso l'imposizione di tasse e restrizioni da parte dello Stato. Con la legge n. 464 del 28 ottobre 1999 (entrata in vigore il 1o ottobre 2000) di fatto viene sancita la legalizzazione della prostituzione non senza alcuni margini di ambiguità, come quelli che «ottundono» il confine dello sfruttamento nel caso delle prostitute che lavorano in club privati (inquadrate come dipendenti dal datore di lavoro o quelli riguardanti l'intrusione nella sfera privata nel caso delle lavoratrici autonome (sottoposte a controlli molto rigidi che ne pregiudicano in alcuni casi la mobilità e il pieno godimento dei tempi di vita). Non è secondario ricordare che i continui controlli sanitari obbligatori a cui è formalmente sottoposto chi si prostituisce per usufruire della «licenza di esercizio» e della copertura previdenziale, si sono rivelati, secondo le più recenti statistiche, del tutto inefficaci - perché non supportati da un'adeguata politica di prevenzione - al fine del contenimento delle malattie veneree, alcune delle quali, come la sifilide, sono addirittura in aumento, in linea con quanto accadeva in Italia prima della «legge Merlin»;
il modello tedesco, tra i più fortemente innovativi grazie all'introduzione della «Gesetz zur Regelung der Rechtsverhältnisse von Prostituierten» (Legge di regolamentazione della condizione giuridica delle prostitute), entrata in vigore il 1o gennaio 2002, che ha modificato gli articoli 180a 181a del codice penale introducendo nel contempo disposizioni volte a migliorare la situazione giuridica e sociale di chi si prostituisce. In particolare l'articolo 1 dispone che l'accordo in base al quale viene concordato un compenso in cambio di prestazioni sessuali giustifica una pretesa giuridicamente efficace e, di conseguenza, l'attuazione in giudizio di un diritto. Tale principio è esteso, in particolare, nel quadro di un rapporto di occupazione, laddove il soggetto erogante la prestazione si tiene a disposizione temporaneamente per tale scopo e dunque la
il modello spagnolo, fortemente modificato in seguito all'approvazione della Ley orgánica 11/99, che depenalizza completamente la prostituzione e rivoluziona il titolo VIII del codice penale, laddove, all'articolo 188 individua nella «libertà sessuale» dell'individuo un bene giuridicamente protetto.
Più in generale, la tendenza che va affermandosi in Europa è quella di ancorare al lavoro i diritti di cittadinanza attraverso il riconoscimento statuale della prostituzione come attività lavorativa a pieno titolo, come lavoro autonomo di terza generazione (l'adozione in più di un testo legislativo di termini come sex workers, la possibilità di versare contributi previdenziali e di adottare tariffari sono indicatori inequivocabili), creando, però, un'ulteriore forma di discriminazione delle donne immigrate - la stragrande maggioranza di coloro che si prostituiscono - visto che il nuovo status conferisce visibilità e diritti tendenzialmente solo alle prostitute autoctone e relega le straniere in un mercato parallelo controllato dalle mafie.
Questo sintetico excursus ci conforta nella convinzione che, in sintonia con gli orientamenti prevalenti a livello europeo, anche nel nostro Paese sia improrogabile avviare una politica di decriminalizzazione della prostituzione quando essa sia frutto della libera scelta individuale, ma che altrettanto irrinunciabile sia fornire tutela allo sterminato popolo degli immigrati e delle immigrate, conferendo permessi di soggiorno a chi intenda esercitare la prostituzione nel nostro Paese e predisponendo una politica di inclusione per quote nei flussi migratori. Già nel 1990 la Commissione delle donne del Parlamento europeo chiedeva agli Stati membri di depenalizzare l'esercizio della prostituzione a tutela della salute e della sicurezza delle prostitute, sottolineando che la condizione di semi-illegalità nella quale generalmente esse operano incoraggia gli abusi, la costrizione, le condizioni di lavoro degradanti, i maltrattamenti e i delitti.
La normativa in vigore, al contrario, risulta caratterizzata da un'evidente mancanza di chiarezza sugli obiettivi della repressione e sull'individuazione dei confini esatti delle fattispecie di reato, tanto da porre sullo stesso piano comportamenti che meriterebbero considerazioni e trattamenti assai diversificati. Sancire la liceità della prostituzione non coatta e non minorile, la sua attinenza alla sfera privata dei rapporti tra persone, non perseguibile né per chi la esercita, né per chi la utilizza, dunque, garantirebbe il diritto alla autodeterminazione sessuale, la piena libertà di movimento e di comportamento e contrasterebbe il business criminale alimentato dalla clandestinità. Soprattutto, consentirebbe di porre l'accento sulla necessità di fornire diritti e dignità giuridica a chi fino ad oggi ne è stato privo.
La presente proposta di legge punta dunque a garantire strumenti idonei ad espandere sul territorio nazionale le politiche di accoglienza mirate al reinserimento sociale delle persone che si prostituiscono e necessita di essere supportata da interventi che favoriscano un mutamento di orizzonte culturale sul tema della sessualità e dei rapporti tra i sessi e da investimenti adeguati nell'allestimento di campagne di informazione e nella formazione di operatrici e operatori sociali.